Non è facile dire no a qualcuno. In parte è una questione di carattere, in parte è una questione di educazione. Sin da bambini ci viene insegnato che si deve ubbidire: alla mamma e al papà prima di tutto, ai nonni, poi alla maestra, crescendo ai professori e poi al capo sul lavoro, se lavorate da dipendenti, ai superiori e a quelli più vecchi. Una vita intera di ubbidisco. Se non vi conformate e, non sia mai, dite qualche “no”, siete dei ribelli, se non accettate un lavoro, magari perchè le condizioni proposte sono indegne, siete “choosy“, schizzinosi, se sul lavoro rifiutate una mansione siete sfaticati. A un certo punto dire “sì” diventa quasi una seconda natura. Se in generale imparare a dire “no” sarebbe utile per tutti, per un freelance è fondamentale, l’ho imparato a mie spese.
Al primissimo progetto che mi hanno proposto avrei dovuto dire un no grande come una casa, e lo sapevo benissimo, invece ho detto “sì, nessun problema“, non sono certo una sfaticata schizzinosa. Ed è stata una catastrofe. Mi sono ritrovata a lavorare proprio la settimana tra Natale e Capodanno: di giorno tutto un via vai di persone, scambi di regali, pranzi e cene con genitori, amici e parenti, di notte una lunghissima, infinita traduzione legale dal tedesco, mia seconda lingua, con la quale ormai lavoro pochissimo e dalla quale ho sempre fatto solo traduzioni tecniche. Perché non ho detto no? Perché era un’agenzia che seguivo da mesi, mi interessava tantissimo, e avevo paura che, dicendo no a quel progetto, non mi avrebbero più chiamata per progetti futuri. Risultato: ho fatto un pessimo lavoro, mi hanno, giustamente, decurtato il compenso per tutto il lavoro di revisione che hanno dovuto fare (ergo ho lavorato come una schiava per due spiccioli) e l’agenzia non mi ha ovviamente mai più richiamata. Ancora oggi penso che se avessi detto “grazie, ma non sono capace, sarà per la prossima volta”, oggi lavorerei per quell’agenzia, oppure no, ma mi sarei evitata una figuraccia. Secondo voi ho imparato? Ovviamente no! Dieci mesi più tardi, leggo l’annuncio di un’altra agenzia, su facebook, cercavano traduttori nel settore turistico per una collaborazione continua. “Evvai, questo è proprio il mio lavoro!”. Facciamo il colloquio via skype e finisco piena di dubbi. L’agenzia non mi sembrava seria, il progetto, che sulla carta sembrava bellissimo, nella realtà era molto campato in aria. Fatti i dovuti controlli sull’affidabilità dell’agenzia non avevo trovato molto e quel poco non era confortante, i dubbi c’erano e pure tantissimi. Non penserete che abbia detto no, vero? Non penserete che sia una sfaticata schizzinosa? Ho giusto preso la precauzione di dividere il progetto in più parti, così oggi mi ritrovo con una fattura insoluta di “soli” quattrocento euro anziché i tremila dell’intero progetto. Questo mi è costato tantissimo, non solo in termini economici, che già non è poco, ma anche in termini di autostima, tanto che l’esperienza mi ha portata a valutare seriamente di mollare tutto, di rinunciare a fare la traduttrice.
Così quando ieri mattina mi hanno proposto un nuovo, bellissimo progetto, a lungo termine, dall’inglese all’italiano (perfetto!), in un settore per me sconosciuto (sob!) ho rifiutato. Perché? Semplice, non so nulla del settore in questione, né mi interessa imparare perché è un settore che proprio non mi piace. Perché sono convinta che l’agenzia abbia apprezzato il fatto che non gli farò perdere tempo nella revisione, né gli farò perdere il cliente con pessime traduzioni. Perché l’idea di passare le nottate a tradurre testi di cui non capisco nulla, che potrebbero tranquillamente essere scritti in aramaico anziché in inglese, non mi attirava per niente. Perché anche se non navigo certo nell’oro e sono ancora ben lontana dall’avere un’attività ben avviata, voglio che chi mi affida un lavoro sappia che quando accetto lo faccio perché sono in grado di portare a termine il lavoro e non perché ho paura di non essere più richiamata o per motivi economici o semplicemente perché dico sì a tutto quello che mi propongono.
Certo, ho detto no con un certo timore, la paura che non mi chiameranno più c’è, eccome, ma freelance significa libera professionista, ovvero che sono libera di scegliere i lavori che voglio fare e che sono una professionista, quindi so riconoscere quelli che non sono in grado di portare a termine.
Finalmente posso dire: “ho imparato a dire no”. E voi? Sapete dire no?
Divertente post Debora, sembrano le vicissitudini del giovane traduttore! Per quanto riguarda la tua domanda, da tempo dico di NO a cuor leggero a richieste fuori dai miei settori di specializzazione: non sono economicamente convenienti perché richiedono troppe ricerche e non trovo professionale avventurarmi in nuovi settori a spese del cliente. D’altro canto, per chi non ha ancora sviluppato una specializzazione un po’ di incoscienza è necessaria 😉
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