Riflessioni sparse

Charter in delirio (aggiornato 01/08/16)


Oggi voglio presentarvi un libro che è nato da un’idea molto interessante, ma che si è rivelato un po’ deludente. Perché ve lo consiglio? Per due motivi: l’idea di partenza è davvero molto interessante, la postfazione vale tutto il libro.
Sto parlando di Charter in delirio -Un esperimento con i versi di Emily Dickinson a cura di 518gqtsLBDL._SX304_BO1,204,203,200_Marzia Grillo. L’esperimento consiste nel “dare in pasto” a vari traduttori automatici alcuni versi di Emily Dickinson.
Ed è quello che effettivamente ha fatto la curatrice: ha scelto alcune poesie di Emily Dickinson, le ha fatte tradurre da un traduttore automatico (non è specificato quale, immagino per evitare querele o problemi di qualunque tipo) e… basta, fine, esperimento finito, se volete tirate da voi conclusioni e somme. Ed ecco la mia delusione, non c’è un’analisi, un confronto con una traduzione “umana”, nulla, zero. C’è un’idea potenzialmente molto buona, ma viene mollata lì, non si concretizza in nulla. Facile ridere perché il traduttore automatico traduce “Delirious Charter” con “Charter in delirio”, sarebbe stato però più utile e sensato dare la traduzione corretta e cercare di capire perché il traduttore automatico “immagina” dei charter che danno fuori di matto. Sarebbe anche interessante capire il tipo di traduttore automatico utilizzato, se non il nome, almeno la tipologia, visto che ci sono traduttori di tipi diversi. Sarebbe stato interessante mettere a confronto la traduzione di diversi traduttori automatici e vedere le tipologie di errori che commette che so, Google translator, rispetto  a Lexicool o altri (quant’è indicativo il fatto che per trovare un’alternativa a google translator ho dovuto fare una ricerca?). Insomma, se da un lato l’idea va premiata, perché è buona e interessante, dall’altro l’idea rimane campata in aria e non viene svilppata in alcun modo.
Poi c’è la postfazione (di Martina Testa), che ci offre spunti molto interessanti, anche se non un’analisi puntuale, del resto è una postfazione. Lo spunto più interessante che ci viene fornito, è il suggerimento di catalogare gli errori, perché le scoperte che fa Martina Testa sono davvero interessanti:

“È curioso […] notare con quanta frequenza in queste pagine la risistemazione avvenga verso campi della tecnologia e dell’informatico […]”

Possiamo quindi azzardare che la traduzione automatica punta a questi due settori e certamente non alla traduzione letteraria?
Questo ci porta a scoprire che

“[…] un traduttore automatico è legittimamente dotato di una sua lingua personale, fatta di parole ed espressioni che, in qualche modo, “sente usare” più spesso e che gli sono famigliari [… ]”

Scopriamo inoltre che non basta una lettura, magari effettuata con un sorriso di superiorità sulle labbra:

“la terza lettura è stata quella in cui […]ho goduto puramente della bizzarria del testo di arrivo, che a volte raggiunge effetti di insospettabile grazia.”

E se siete tra quelli che non credono che un computer possa scrivere poesia, provate a guardare questo video, potreste cambiare idea.

In questi giorni Marzia Grillo, curatrice di questa raccolta e ideatrice dell’esperimento, ha rilasciato al blog “Il lavoro culturale” una lunga intervista su come è nata l’idea per questo libro, potete leggere il testo qui.

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