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Apicio

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L’identità di uno dei primissimi gastronomi della storia è in realtà sconosciuta; infatti con il nome Apicio possiamo identificare almeno tre cuochi e buongustai dell’antica Roma:
– pare che un Apicio si sia scagliato contro la legge Fannia del 161 a.C., una legge che imponeva dei limiti al numero degli invitati e alla spesa per i banchetti.
– Secondo gli storici francesi, l’autore della prima stesura del De re coquinaria, il libro di cucina legato al nome di Apicio, è vissuto ai tempi di Augusto e Tiberio (nel periodo tra il 63-37 a.C. ).
– Infine possiamo trovare un Apicio che visse al tempo di Traiano (53 – 117 d.C.) che ampliò il testo di cucina.
L’unica cosa che si sa per certa è che è esistito almeno un cuoco di nome Apicio tra il I e il IV secolo d.C. che diede ai propri ricettari diede nome Libri di Apicio.
Oggi la tesi più accreditata è che Apicio fosse il nome con cui nell’antica Roma si indicava semplicemente un esperto di arte culinaria, e quindi gli “Apicio” che hanno contribuito alla raccolta delle ricette potrebbero essere stati molti di più.

Leggendo il De re coquinaria scopriamo così che i romani mangiavano animali che troviamo comunemente sulle nostre tavole, come il pollo, i bovini e il maiale (di varie età) e altri che per noi oggi sono impensabili, come il pavone, la gru o il ghiro. Oltre alle ricette per cucinare animali selvatici come il cinghiale e la lepre, troviamo numerose ricette per cucinare il pesce.
Nel libro si trovano soprattutto tantissime salse, salse pensate e create appositamente per le varie pietanze, con aromi e gusti creati da abbinare a carni di vario tipo.
La salsa più diffusa e apprezzata nell’antica Roma è il garum, chiamata anche liquamen (nome non esattamente invitante), prodotta mettendo le interiora di pesce e alcuni pesci piccoli, come triglie o acciughe, in un recipiente con una salamoia e mettendo il tutto a fermentare sotto il sole. Al termine del processo si versava il tutto in un cesto intrecciato fittamente e il liquido che veniva filtrato era il garum. La parte solida che rimaneva nel cesto era chiamata allec e veniva utilizzata come accompagnamento di ostriche e pesci.

Anche Marziale cita il garum in uno dei suoi epigrammi (epigr. 49, libro VII):

Unguentum fuerat, quod onyx modo parva gerebat: Olfecit postquam Papylus, ecce, garum est.

C’era un unguento contenuto in una piccola ampolla: dopo che Papilo l’ebbe annusato, ecco, è diventato garum

Esiste anche una salsa apiciana, del nome dell’autore, preparata con levistico (una specie di sedano), pepe, coriandolo, menta e garum.

Sembra che si debba ad Apicio anche l’invenzione del foie gras: infatti pare che nutrisse le oche con i fichi maturi (fegato sembrerebbe derivare da “ficatum”), per ingrossarne il fegato e dargli un sapore più dolciastro e renderlo più gustoso. Probabilmente nutriva sempre con i fichi anche i maiali e altri animali, sempre allo scopo di dare al fegato un sapore dolciastro.

Ma Apicio non si limita a fornire ricette gustose, nel suo trattato dà anche consigli su come conservare gli alimenti, come prevenirne i cattivi odori o riconoscere gli alimenti guasti da quelli buoni. Fornisce anche ricette per problemi intestinali e di stomaco.

La cucina proposta da Apicio è, ovviamente, una cucina dedicata ai patrizi che potevano permettersi gli ingredienti esotici che provenivano da ogni parte dell’impero che il famoso cuoco proponeva: calli di dromedario, lingue di usignolo o pappagallo, vulve e mammelle di scrofa e ogni possibile stramberia (almeno per oggi).
Infatti la cucina dei normali cittadini era abbastanza frugale, ovvero a base dei frutti della terra (frugale deriva dalla parola frux, frutto).

Apicio amava molto anche che pietanze che preparava avessero un aspetto gradevole e sorprendente. Questo non ci deve stupire dal momento che i banchetti non erano solo un’occasione di convivialità o per gustare prelibatezze di ogni genere, lo sfarzo del banchetto era la sintesi del potere e dello status sociale dell’ospite. Apicio anche di questo fece un credo estremo, al punto che, rimasto senza soldi, si suicidò al pensiero di non poter più dare banchetti al livello di sfarzo a cui era abituato.


Per approfondire potete leggere:
Apicio – De re coquinaria (esiste in varie edizioni con testo a fronte, la mia è della Newton Compton “La cucina dell’antica Roma” a cura di Clotilde Vesco)
Sulla storia del garum potete leggere qui
Per approfondire sulla vita e l’opera di Apicio qui

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