Dalla postfazione del libro:
Questo libro è un metalogo: un dialogo che assume la forma di ciò che si discute. […] Volevamo fondere contenuto e contenitore, idee e design, per ribadirne l’indissolubilità. Il modello di partenza si è evoluto grazie a iterazioni successive. Per questo motivo scrittori e grafici, sono indicati come autori: la paternità del lavoro è chiaramente collettiva. Le rispettive competenze si sono dimostrate indispensabili per realizzare l’opera che tenete fra le mani.
Da Wikipedia:
L’Informatica umanistica, in inglese Humanities Computing o Digital Humanities, è un campo di studi, ricerca, insegnamento che nasce dall’unione di discipline umanistiche e informatiche. Comprende ricerca, analisi e divulgazione della conoscenza attraverso i media informatici. Oltre ad avere una solida formazione umanistica, chi studia Informatica Umanistica sa trattare contenuti culturali con gli strumenti informatici appropriati.
Credo che questo libro sia interessante sotto diversi punti di vista; infatti ci dice:
1) che il digitale e le materie umanistiche non sono in contrapposizione (cosa che sfugge ai più, visti anche i fiumi di parole spesi in difesa del liceo classico, del latino e del greco che si moltiplicano negli ultimi tempi).
2) Che chi si occupa di materie umanistiche non può (più) prescindere dal digitale, che “sporcarsi” le mani con la parte tecnica della moderna comunicazione ormai è diventato essenziale.
3) Che il digitale non eliminerà la cultura umanistica, semplicemente l’aiuterà a esprimersi in modi e forme differenti. La parola scritta perderà parte del suo potere per cedere il passo al ritorno della parola parlata e ad altre forme di comunicazione, ad es. quelle visuali.
4) Che la nuova parola d’ordine è collaborazione, cosa che imporrà un nuovo modo, per molti versi più trasparente, di gestire la proprietà intellettuale. Non a caso il software open source è uno degli elementi di questo nuovo modo di fare cultura.
5) Che trasferire in formato digitale le conoscenze umanistiche è condizione necessaria, ma non sufficiente per parlare di umanistica digitale.
6) Che la specializzazione è importante, ma lo è altrettanto una cultura e una conoscenza ampia e sfaccettata perché si lavora per progetti e non ci si può limitare a conoscere solo il proprio pezzetto di “giardino”.
7) Che nell’era digitale il concetto di analfabetismo è cambiato e si è ampliato.
L’Umanistica Digitale offre strumenti e pratiche per produrre cultura in un mondo post-stampa, ovvero in un contesto nel quale la conoscenza non si limita alla parola scritta.
8) Termino con una buona notizia per noi traduttori: una delle caratteristiche chiave dei progetti è l’interculturalità, la capacità di coinvolgere comunità linguistiche e culturali differenti.