
Cosa distingue, oltre al prezzo, il menù di un ristorante costoso da quello di un ristorante economico? L’uso delle parole: nel menù di un ristorante costoso il focus sarà sulla provenienza prestigiosa della materia prima, mentre in quello di un ristorante di media categoria l’attenzione sarà più rivolta alla genuinità dei prodotti. Nel menù di un ristorante di un certo livello la scelta dei prodotti o dei piatti è “dello chef”: specialità dello chef, piatto dello chef, ecc.; nei ristoranti costosi le parole utilizzate per descrivere i piatti sono più specifiche e mediamente più lunghe di quelli più economici; un’analisi attenta delle parole che compongono un menù ci può svelare una precisa relazione sull’utilizzo di certe parole e il costo delle pietanze. L’utilizzo di parole riempitivo, parole positive ma vaghe, come delizioso, sublime, saporito, ecc, rivela il menù di un ristorante medio, parole che si utilizzano quando non c’è nulla di davvero positivo o particolare da dire su quel piatto, sono parole che servono a mascherare la mancanza di una vera, specifica qualità positiva di quella determinata pietanza. L’utilizzo delle parole reale, vero, autentico denotano il menù di un ristorante di medio livello, dove la genuinità dei prodotti può essere messa in discussione. Un ristorante di livello elevato non ha bisogno di sbandierare l’autenticità e la qualità dei propri prodotti, perché è scontata.
Questi sono solo alcuni esempi dell’analisi che Daniel Jurafsky, autore di The language of food – a linguist reads the menu fa del linguaggio utilizzato nel settore della ristorazione. Tuttavia non si limita all’analisi dei menù: l’analisi delle recensioni dei ristoranti, rivela come il linguaggio utilizzato per recensire i fast food, o comunque i locali dove si consuma il cibo spazzatura (junk food) richiami le droghe, mentre le recensioni relative a cibi più costosi, come il sushi o certi dessert, richiamano più spesso il sesso, relazione che viene utilizzata spesso anche nella pubblicità. L’analisi delle recensioni ci dice inoltre che abbiamo un linguaggio molto più vario nel descrivere le esperienze negative, rispetto a quelo utilizzato per descrivere le esperienze positive: cosa che vale in generale, non solo per le recensioni, per un effetto che l’autore collega al romanzo di Anna Karenina:
Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo.
Questo libro è molto interessante sia dal punto di vista linguistico sia per le riflessioni sull’influenza che ogni cultura ha sul cibo, in questo senso l’autore si ricollega alla celebre fiaba della zuppa di sasso: un vecchio lupo arriva in un villaggio e va dalla gallina, le chiede una pentola e dell’acqua per preparare la sua famosa zuppa di sasso, fatta solo con acqua e un sasso. Prima la gallina e poi via via tutti gli animali del villaggio, aggiungeranno all’acqua della zuppa le verdure preferite. La storia termina con una grande cena con tutti gli animali che gustano il risultato dello sforzo comune.
L’autore vede un’analogia fra questa storia e l’apporto che ogni cultura ha dato a determinati cibi (ad es. il ketchup) nella loro evoluzione dalla forma originale a quello che ritroviamo in tavola ai giorni nostri.
[…] the language of food ought to have an enormous amount to tell us about our history, our society, and our selves.