Quando si crea un acronimo o una sigla si rischia di ottenere effetti esilaranti o poco felici. Chi ha visto Benvenuti al Nord non può non ricordare il nome del progetto pilota presentato da Paolo Rossi, nuovo direttore generale delle poste:
“Efficienza, rapidità, puntualità, energia e sorriso. In una parola e.r.p.e.s.”
La definizione di acronimo secondo il vocabolario Treccani: “Nome formato unendo lettere o sillabe iniziali di più parole […]; è comunemente detto sigla, rispetto a cui ha significato più ristretto (la sigla può non costituire un vero e proprio nome, e talora non ha neanche la possibilità di essere letta come parola)“.
In traduzione gli acronimi a volte si traducono, come nel caso di ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite) in inglese UN (United Nations) a volte si utilizzano così come nascono, come nel caso di PDF (Portable Document Format).
Per la traduzione solitamente si fa riferimento a glossari di acronimi specifici per il settore del testo da tradurre, infatti alcuni acronimi hanno significati diversi in contesti differenti: secondo il sito Acronym Finder l’acronimo MD ha ben 165 significati differenti.
In genere nel caso in cui l’acronimo faccia riferimento ad un nome commerciale o a un marchionimo, ad es. BMW – Bayerische Motoren Werke, non si traduce.
Più difficile è il caso degli acronimi inversi (backronym): “un acrostico costruito su una parola esistente che viene reinterpretata dandole un’etimologia inventata ma plausibile” (qui).
Spesso e volentieri gli acronimi inversi vengono creati con chiaro intento umoristico:
FORD: Fix Or Repair Daily (Aggiusto O Riparo Quotidiamente)
ADIDAS: All Day I Dream About Sex (Tutti i giorni faccio sogni sul sesso, titolo di una canzone dei Korn), giusto per fare qualche esempio (qui).
In questo caso, a meno di essere stati davvero molto fortunati, è impossibile tradurre mantenendo l’acronimo e il significato originale. Al traduttore restano due strade:
– lasciare l’acronimo con la spiegazione per esteso in lingua originale e tra virgole o tra parentesi la traduzione, come negli esempi proposti sopra;
– creare un acronimo inverso nella lingua d’arrivo che ricalchi in qualche modo l’originale o che ne mantenga lo spirito. Un (triste) esempio di questo tipo di traduzione sono le sigle degli esami nei libri di Harry Potter: O.W.L. (Ordinary Wizarding Level) in italiano è stato reso con G.U.F.O. (Giudizio Unico per Fattucchieri Ordinari) o N.E.W.T. (Nastily Exhausting Wizarding Test) che viene trasformato in M.A.G.O. (Magie Avanzate Grado Ottimale).
Credo che la scelta tra le due soluzioni dipenda molto dal tipo di traduzione: in un romanzo, o comunque in un testo di ampio respiro,spesso si può mantenere l’originale e la spiegazione tra parentesi o virgole; è la scelta che preferisco, credo che nel testo d’arrivo debba rimanere il più possibile la mano dell’autore; nei fumetti spesso si vede l’acronimo asteriscato con relativa spiegazione in fondo alla vignetta. La vera sfida è nei sottotitoli, dove, per motivi di spazio, difficilmente c’è la possibilità di inserire spiegazioni o note e si può solo scegliere di volta in volta la soluzione migliore.
A voi è mai capitato di dover tradurre acronimi inversi? Che soluzione avete adottato?
Immagine: Diritto d’autore: <a href=’http://it.123rf.com/profile_littlepaw’>littlepaw / 123RF Archivio Fotografico</a>